domenica 6 novembre 2011

Cenni storici su Vararo e Casere


Non sono ancora stati trovati documenti o altro materiale utili allo storico per determinare, con precisione, in quale esatto periodo l’uomo possa essersi insediato stabilmente nella conca prativa di Vararo e Casere. Il nome Varai appare per la prima volta in un documento ufficiale dell’anno 846 d.c., dove il nobile Eremberto, vassallo dell’Imperatore Lotario, concedeva il diritto al custode della chiesa di Leggiuno di far pascolare le sue bestie “in silvas nostras, in monte nostro in Varai”. Prima di questo minimo riferimento, non si trovano altri cenni e si può solo supporre che, essendo il nome Vararo molto simile alla parola celtica “Var”, che significa “acqua”, qualcuno appunto dei diversi gruppi e tribù celtiche che popolavano tutta la regione insubrica, conoscesse e frequentasse i luoghi, abitandoli magari con piccoli gruppi dediti alla pastorizia e all’agricoltura.
Solo nel 1558, con la stesura del catasto dell’Imperatore Carlo V, si hanno notizie più precise in particolare di Vararo, dove vengono censite diverse proprietà divise per tipologia e uso e dove si contano già 11 proprietari.
Nel 1592 risulta meglio documentata la visita pastorale del vescovo Ninguarda che, durante il suo viaggio pastorale tra i villaggi della Valcuvia, salì con non poca fatica, anche il ripido sentiero che da Cittiglio portava a quei tempi a Vararo, dove trovò una piccola comunità raccolta attorno a quella, che egli indicò come una cappella, con un piccolo campanile con una sola campana, un battistero, un confessionale e un’acqua santiera, dedicati al Santo Bernardo, ancora oggi patrono del paese e gestiti da un cappellano che rispondeva al nome di Bernardo Ariolo, nativo del luogo e alle dipendenze del prevosto di Leggiuno. Nell’occasione di tale visita, il vescovo eseguì anche un sommario censimento, che stabiliva approssimativamente la presenza di un nucleo stabile di 17 famiglie, per un totale di 135 persone.
Poi, notizie risalenti al 1600, danno Vararo quale comune autonomo e slegato da quello di Cittiglio, da cui dipendeva in precedenza. Dette notizie si apprendono scorrendo un documento ufficiale datato 12 marzo 1752 e relativo alle risposte alle 45 istanze presenti in esso, denominato: “Proposta de’ Quesiti dati dalla Real Giunta alla Comunità di Vararo Pieve di Valcuvia”. Questo documento, insieme a molti altri, è riportato nella sua forma originale nel bel libro “Vararo, ricordi di un vecchio paese” di Luce Vera Ferrari Musumeci.
Da quegli anni lontani e fino ai primi successivi alla seconda guerra mondiale, l’economia locale e più in generale la semplice vita degli abitanti locali, si sono sostenute sull’attività silvo-pastorale, che consentiva loro un reddito modesto in grado però di fornire il necessario per vivere, in un contesto ancora lontano da quella corsa al superfluo e allo sviluppo fine a sè stessi, che ha contagiato la nostra società dal dopoguerra in poi.
A partire dagli anni ’60, molti abitanti hanno lasciato il paese in cerca di un lavoro meno faticoso e più redditizio, causando un notevole calo demografico della già piccola comunità. L’attività contadina è andata via via scemando e Vararo e Casere hanno cominciato a riscoprirsi in una nuova veste, quella turistica e sportiva. Gli stupendi panorami che si possono godere dai monti che circondano la conca, attirano sui sentieri molti escursionisti. Le cime del Sasso del Ferro e del monte della Croce, sono diventati importanti punti di decollo per parapendii e deltaplani, conosciuti non solo dai piloti italiani. Le mountain bike percorrono mulattiere e sentieri durante tutto l’anno, insieme ai ciclisti più tradizionali che affrontano invece la sfida della dura salita della strada che porta al passo di Cuvignone. E non manca anche un rally tra le attrattive della zona. Anche la festa del santo patrono Bernardo, che si svolge ogni anno ad agosto e le cui origini si perdono nel tempo, è motivo di festa e di ritrovo per numerosi turisti, oltre che di “ritorno alle origini” di molti vecchi abitanti.
Oggi la comunità dei due villaggi, dopo il periodo di abbandono, è andata crescendo nel numero, arricchendosi di giovani coppie che hanno fatto tornare nelle vie e nei cortili i richiami gioiosi dei bimbi. Sono stati proprio questi nuovi abitanti a sentire la necessità di aggregarsi in un’associazione capace di stimolare tutti per mantenere vive le tradizioni e il territorio della montagna valcuviana, portando avanti anche le idee e i progetti di gruppi più vecchi, ormai sciolti ma che, con lungimiranza, avevano già compreso l’importanza di quei valori.
Il Presidente Fulvio Vanetti

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